Eva Colombo, La benedizione del legno rosso, capitolo terzo: Tre donne e tre lupi ( Trois femmes et trois loups, acquerello e oro su carta di Eugène Grasset, 1892 )
Cammino da sola, è quasi buio. Ho le labbra fredde e la luna mi accompagna. Gli alti stivali di pelle nera che indosso inducono passi svelti e cadenzati. Stivali da caccia, si sarebbe detto una volta. Caccia di fantasmi, direbbe chi mi incrocia…se chi mi incrocia mi guardasse. Ma nessuno mi guarda. O meglio: mi guardano, ma non mi vedono. Eppure sono molto alta con questi stivali, eppure sono oggettivamente ben visibile per gli occhi umani…Invece, niente. Quando qualcuno mi passa accanto ho la sensazione di essere fatta d’aria. Di essere io un fantasma. Di essere un fantasma che fugge da tutti coloro che guardano ma non vedono. Tutti sono immersi nel loro altrove personale, nessuno è consapevole di essere qui adesso. Nessuno sa che io sono qui adesso e che sto sperando che i fantasmi abbiano una vista migliore degli esseri umani incarnati. Che almeno loro mi vedano. Che almeno i fantasmi si accostino a me senza pretendere, come fanno quasi tutti gli esseri umani, che io sia un lenzuolo bianco su cui proiettare i loro fantasmi personali…Passo, le lacrime che non piango non possono evaporare. Passo, le parole che non dico non possono far vibrare l’aria…I miei passi smuovono le foglie morte ed il contatto con le foglie morte mi dà la sensazione di essere viva…di esistere, quantomeno. Cammino da sola, è quasi buio. Ho le labbra fredde e la luna mi accompagna. Non mi sento mai sola quando in cielo c’è la luna. Anche lei esce quando è buio e non cerca nessuno, non aspetta nessuno…Ma io non sono in cielo. Ma io non sono fatta d’aria. Quaggiù i fanali feriscono il buio, gli occhi umani che non mi vedono ma che mi guardano con malevola curiosità feriscono la mia solitudine. I cancelli vengono chiusi, la protezione degli alberi mi viene tolta. Sono costretta a passare accanto a crocchi di gente che non guarda la luna e non vede me. Lo confesso: questa gente mi fa paura. Parla sempre, spesso ride e non cammina mai da sola. Per questa gente io sono incomprensibile, inconcepibile. Non dovrei nemmeno esistere. Eppure io esisto e non posso essere diversa. E sono costretta ad esistere accanto a questa gente che mi fa paura perché non sa – non vuole sapere, non le interessa sapere – che io non posso essere diversa. Se potessi essere diversa, quando passo accanto a questa gente vorrei davvero essere fatta d’aria. Vorrei essere una di quelle tre donne nel quadro Tre donne e tre lupi di Eugène Grasset. Anche loro, come me, sono spaventate da qualcuno. Ma loro, a differenza di me, possono staccarsi da terra e diventare nuvole che si rifugiano tra gli alberi rossi. Né cancelli chiusi né stivali costretti a percuotere una strada che non si vorrebbe percorrere. Sono belle, quelle tre donne: la loro bellezza viene velata ma non mortificata dalle loro vesti di nuvola, la loro bellezza esiste anche se le loro vesti di nuvola non sono lenzuoli bianchi su cui proiettare i fantasmi di qualcun altro. Fuggono da questo qualcun altro che le braccava con tanto di corno da caccia. Sul limitare del bosco degli alberi rossi, i cacciatori hanno gettato a terra il corno ed abbandonato la caccia: le loro prede si sono trasformate in nuvole, si sono trasformate in fantasmi. Eppure esistono: sono belle e spaventate, sono vive ed ansimanti. I cacciatori si sono volatilizzati, feriti a morte dagli occhi brucianti dei tre lupi che custodiscono la solitudine delle tre donne – nuvola all’ombra degli alberi rossi. Cammino da sola, ormai è buio. Ho le labbra fredde, la luna mi guarda e mi vede.
 
 
Eva Colombo, The blessing of the red wood, third chapter: Three women and three wolves ( Trois femmes et trois loups, watercolour and gold on paper by Eugène Grasset, 1892 )
I’m walking alone, it is almost dark. My lips are cold and the moon accompanies me. I’m wearing black – leather top – boots that induce measured treads. Maybe they could be really hunt – boots… for a ghost – hunt. Yes, who passes by me would say that I’m chasing ghosts if only he or she would look at me. But nobody looks at me. I mean: they look at me but they don’t see me. And yet I’m very tall with this boots, and yet I’m objectively well visible for human eyes…Instead, nothing. When someone passes by me I experience the feeling of being made of air. Of being a ghost. Of being a ghost who is escaping from those that look without see. It seems to me that everyone who passes by me belongs to the category of those that look without see. All of them are plunged in their private elsewhere, none of them is aware of being here now. None of them is aware that I am here now hoping that the visual faculty of ghosts were more powerful than that of incarnated human beings, that at least ghosts see me. I am hoping that at least ghosts approaching me without requiring, as incarnated human beings do, that I were a white sheet on which projecting their private ghosts…I pass by, my unexpressed tears cannot evaporate. I pass by, my unspoken words cannot shake the air. My steps shake dead leaves instead and the contact with dead leaves gives me the feeling of being alive…of existing, at least. I’m walking alone, it is almost dark. My lips are cold and the moon accompanies me. I never feel alone when there is the moon in the sky. She too goes out when it is dark and she looks for nobody, she waits for nobody…But I’m not in the sky. But I’m not made of air. Here below lamps wound darkness, human eyes wound my loneliness looking at me with malevolent curiosity. The gates are now closed, the protection of trees is now denied to me. I’m forced to pass by knots of people that don’t look at the moon, knots of people that don’t see me. I admit: I’m frightened by this people. They always talk, they often laugh and they never walk alone. To them I am incomprehensible, inconceivable. To them I shouldn’t even exist. And yet I exist and I can’t be different. And I’m forced to exist close to them, to them that frighten me because they don’t know – they don’t want to know, they don’t care to know – that I can’t be different. If I could be different, when I pass by this people I would really be made of air. I would be one of those women in the picture Three women and three wolves by Eugène Grasset. They too, as me, are frightened by someone. But they, unlike me, can come off from the ground and become clouds that shelter themselves among red trees. Neither closed gates nor boots forced to trample down a road they don’t want to run along. They are beautiful, these three women: their beauty is dim but not mortified by their clouds – clothes, their beauty exists even if their clouds – clothes are not white sheets on which projecting the ghosts of someone else. They are escaping from this someone else who was chasing them even with a hunting horn. On the threshold of the wood of the red trees the hunters have thrown to the ground the horn and they have abandoned the chase: their preys have turned into clouds, they have turned into ghosts. And yet they exist: they are beautiful and frightened, they are alive and panting. The hunters are disappeared into thin air, wounded to death by the burning eyes of the three wolves that are taking care of the loneliness of the three clouds – women in the shade of the red trees. I’m walking alone, by now it is dark. My lips are cold, the moon looks at me and sees me.