Eva Colombo, La benedizione del legno rosso, capitolo primo: Crepuscoli (
Zwielichter, olio su tela incollata su cartone di Hugo Hoppener detto Fidus,
1902 )
Una veranda, due lanterne, una balaustra di legno rosso. Le mie mani si
appoggiano a questo legno rosso, forse tra poco vi si aggrapperanno perché ho
sentito l’odore dell’acqua nell’aria. Nuvole, nuvole gonfie di pioggia stanno
correndo verso di me sospinte da un vento complice. La tempesta mi ha
riconosciuta, sa che io sono sua sorella. Il mio vestito una nuvola, le perle
della mia collana gocce di pioggia, i miei capelli l’ala cupa del vento, i miei
occhi…i miei occhi il baluginio del lampo…però i miei occhi sono umani, sono
anche umani. Sì, i miei occhi umani cercano la luce delle lanterne, i miei occhi
oltreumani cercano il bagliore del crepuscolo che sta rapidamente cedendo al
fascino tenebroso della tempesta. Il mio profilo resta sospeso sopra la
balaustra mentre i miei occhi non sanno decidere quale delle due luci vogliono
riflettere, quale delle due luci preferiscono trascinare nel loro specchio
abissale. Le mani ora stringono il legno rosso perché l’odore della pioggia
tempesta le mie narici oltreumanamente sensibili…invece le mie mani sono umane,
troppo umane. Hanno paura della tempesta, vogliono avvincermi ai manufatti
umani, vogliono garantirmi un saldo ancoraggio alla casa pensando che questo sia
il mio bene. I miei occhi umani ora fissano la lanterna, anche loro pensano che
il mio bene sia il fuoco addomesticato dagli esseri umani. Ma una scintilla del
selvaggio fuoco del lampo arde nel fondo di quegli stessi occhi…Basta, ora li
chiudo. Sento scrosciare la pioggia, sento l’odore dell’acqua, sento che è
questo il mio bene. Ho bisogno del suono dell’acqua come ho bisogno di
respirarne l’odore…e restare così, da sola… Quando l’acqua non scende dal cielo
vado a cercarla sulla terra. Sì, dico davvero: ho un bisogno fisico di
avvicinarmi all’acqua. Ogni giorno cerco il suono dell’acqua: una cascata, una
fontana non sommerse dal frastuono umano. E ascolto. Ogni giorno cerco l’odore
dell’acqua: la terra umida, la pietra bagnata, l’erba macerata non sopraffatte
dai miasmi umani. E respiro. Che questo per me sia nutrimento vitale troppi
esseri umani non vogliono accettarlo. Sono una donna ancora giovane e – dicono –
bella. Non può essere il mio bene questo isolarmi in luoghi pericolosamente
appartati assumendo atteggiamenti fastidiosamente indecifrabili. I predatori
sono in agguato, le maldicenze – “quella là non è a posto” – sono nell’aria. Può
darsi che questi esseri umani abbiano ragione, probabilmente ce l’hanno…Ma io
non ho scelta. Per vivere devo necessariamente trovare un po’ di tempo, ogni
giorno, per ascoltare l’acqua e respirarne l’odore. Capirete che questo tempo,
quasi sempre, riesco a trovarlo solo quando è buio e la stragrande maggioranza
degli esseri umani si tiene ben alla larga dall’acqua che scroscia e dagli
argini terrosi che ne esalano il sentore…Io ascolto l’acqua e guardo il buio e
sono me stessa. Non ci sono sguardi umani che prelevano la mia bellezza per
costringerla in alienanti schedari, non ci sono parole umane che trascinano i
miei pensieri in strade senza uscita. È pericoloso per la società che una donna
sia sé stessa: così pensano in troppi. Allora innalzano cancelli e stendono reti
costringendomi a sguisciare lungo margini affilati, costringendomi a pericolare
sull’orlo dell’abisso per cercare ciò di cui ho bisogno per vivere. Così se un
giorno io dovessi rovinare dentro quell’abisso questi “troppi” esclameranno
trionfalmente: ecco, ciò di cui si alimentava quella là porta alla morte! No,
ciò di cui si alimenta la mia anima porta alla vita, una vita decisamente
diversa rispetto a quella dei “troppi”, ma pur sempre una vita. Ora la tempesta
ha spalancato un abisso davanti alla veranda e vi sta danzando intorno con gioia
feroce: cerca di afferrare la mia mano per trascinarmi nel vortice di quella
danza oltreumana. Mi ha riconosciuta, sa che sono sua sorella. Vieni con me, mi
dice. Dammi la mano. Insieme scaraventeremo il cielo sulla terra, faremo
divampare il fuoco tra gli scrosci dell’acqua. Svelleremo i cancelli,
sradicheremo le reti. Trasformeremo il crepuscolo in alba, la notte in giorno.
Il tempo sarà finalmente nostro, e anche lo spazio. Noi saremo la norma e i
“troppi” l’anomalia da emarginare. Vieni con me, accanto a me troverai ciò che
nutre la tua anima senza essere costretta a giustificarti, a difenderti, a
nasconderti…Il vento freddo si insinua sotto la mia mano, cerca di strapparla
dal legno rosso della balaustra. Il legno rosso è caldo, è caldo del sangue
umano che scorre nella mia mano…io sono un essere umano, sono anche un essere
umano…il legno rosso lo sa, e mi trattiene, e mi protegge. Sono un essere umano
e sono sorella della tempesta. Aggrappata al legno rosso, vivrò.
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Eva Colombo,The blessing of the red wood, first chapter: Twilights (
Zwielichter, oil on canvas by Hugo Hoppener known as Fidus, 1902 )
A veranda, two lanterns, banisters of red wood. My hands lean on this red wood,
maybe soon my hands will grasp this red wood because I’m smelling rain in the
air. Cloud, clouds full of rain are running toward me driven by an aware wind.
The storm has recognized me, she knows that I am her sister. My cloth a cloud,
pearls of my necklace drops of rain, my hair the dark wing of wind, my eyes…my
eyes flashes of lightning…but my eyes are human, are human too. Yes, my human
eyes are looking for the light of lanterns, my ultrahuman eyes are looking for
twilight’s glow which is rapidly surrendering to the dark charm of the storm. My
profile hangs over red wood banisters while my eyes can’t decide which light
they want to reflect in their abyssal mirror. My hands are now grasping the red
wood because rain’s smell is storming my ultrahuman sensitive nostrils…but my
hands are human, too much human. They are scared by the storm, they want to bind
me to human manufactures, they want to secure me with a sound anchorage to the
house: according to them, this is for my good. My human eyes are now staring at
the lantern, even they think that my good is the fire tamed by human beings. But
a spark of the wild fire of lightning burns in those very eyes…Enough, now I
close them. I hear the rain pelting, I smell the rain, I feel that this is my
good. I need the sound of rain as much as I need to smell the rain…and staying
so, alone…When the water doesn’t fall from the sky I look for her on the
earth…Yes, I’m speaking the truth: I have a bodily need of approaching water.
Every day I look for the sound of water: a waterfall, a fountain free from the
human noise. And I listen. Every day I look for the smell of water: damp ground,
wet stone, macerated grass free from human miasmas. And I breath. The fact that
this is to me vital nourishment is something unacceptable for too many human
beings. I’m still a young woman and – at least is what they say – a handsome
one. It cannot be my good this going out – of the – way assuming unintelligible
attitudes. Plunderers are in ambush, slanders are in the air. Maybe those human
beings are in the right, probably they are in the right…But I have no choice. To
stay alive I have to find daily a bit of time to listen to the water and to
smell her. This bit of time is usually a dark one, when the majority of human
beings are far away from the pelting water and the earthy banks that exhale
water’s smell…I listen to the water and I look at the darkness and I am myself.
There are not human looks that withdraw my beauty to oblige her into alienating
files, there are not human words that drag my thoughts into a dead end. It is
dangerous for the society that a woman dares to be herself: this is what too
many human beings think. So they raise gates and webs forcing me to slip along
cutting edge, forcing me to totter on the border of an abyss to look for what I
need to stay alive. Then if one day I will fall into this abyss those too many
human beings will cry triumphantly: what which fed that woman’s soul leads to
death, so there! No, what feeds my soul leads to life, a life very different
from yours, but still a life. Now the storm has flung open an abyss in front of
the veranda, the storm is dancing with furious joy around this abyss, the storm
is trying to grasp my hand to drag me into the vortex of that ultrahuman dance.
She has recognized me, she knows that I am her sister. Come with me, she says.
Give me your hand. You and me together will dash the sky to the ground, we will
set fire through showers of rain. We will uproot gates and webs, we will
transform the twilight into dawn, the night into day. The time itself will be
our at last, and the space also. We will be the rule and those “too many” the
anomaly that should be marginalized. Come with me, at my side you will find what
feeds your soul without being forced to excuse yourself, to defend yourself, to
hide yourself…The cold wind insinuates itself under my hand, the cold wind is
trying to wrench my hand from the red wood. The red wood is hot, it is hot
thanks to the human blood that flows into my hand…I’m a human being, I’m a human
being also…The red wood knows this and it holds me back, the red wood protects
me. I am a human being and I am sister of the storm: grasping the red wood, I
will stay alive.
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