Eva Colombo, Musica per donne d’acqua, capitolo quarto: L’archetto e l’arcobaleno
 
Forse la pietra su cui Munch tracciò il ritratto della violinista Eva Mudocci era una pietra caduta dal cielo, forse Munch ha semplicemente reso visibile il volto della divinità che abitava quella pietra. Sì… dev’essere stata una pietra caduta dal cielo durante una tempesta: quando il fuoco e l’acqua si mescolano, quando il cielo e la terra si congiungono. Eva turbina come una nuvola tempestosa, una di quelle nuvole che ricorda agli esseri umani che il cielo esiste. È bianca nera e grigia come il lampo la cenere ed il fango, come una tempesta che ricorda agli esseri umani che i colori sono un dono che non meritano. Sul suo petto, una spilla esagonale le infonde serenità nel mezzo del tumulto ricordandole che sei sono i giorni della Creazione, sei sono i colori dell’arcobaleno. Lei guarda oltre, guarda gli sprazzi di sereno tra le nuvole tempestose e sa che quando vedrà l’arcobaleno sarà il momento di afferrare l’archetto del suo violino.
Veronica Veronese, nel quadro di Rossetti, ha appena distolto gli occhi dall’arcobaleno e afferrato l’archetto del suo violino. La tempesta è passata e la sua anima è verde, e la sua anima fiorisce. Sul suo collo, una collana di gocce argentee le ricorda che la pioggia e le lacrime sono state necessarie per fecondare la sua anima. Ora il tumulto è finito e Veronica assapora qualche istante di quiete. Ascolta un canarino e forse pensa a quell’arcobaleno, a quelle gocce di pioggia che hanno reso visibili i colori della luce. Stringe l’archetto del suo violino e forse benedice quelle lacrime e quell’archetto che rendono la voce della sua anima musica per orecchie umane.